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Divieto concorrenza – Consulenza legale


Cos’è il divieto di concorrenza? Avvocato

Quando un imprenditore cede la propria azienda, deve astenersi per un determinato periodo di tempo ed entro certi limiti dal porre in essere attività concorrente con quella dell’azienda ceduta.

L’obiettivo è quello di stabilizzare il trasferimento dell’azienda e di salvaguardare gli interessi del soggetto acquirente che appunto ha sostenuto una spesa economica per acquistare quell’azienda e non sarebbe corretto sviare la clientela a suo discapito.

Immaginiamo ad esempio, che un imprenditore svolga da anni attività nel settore dolciario, creando una forte influenza sul mercato, e ad un certo punto decide di vendere la propria azienda, è chiaro che se continuerà a svolgere la medesima attività il soggetto che acquista rimane leso in quanto la clientela continuerà a seguire il precedente imprenditore che ormai ha già un nome conosciuto.

È per questo che la legge pone come limite il divieto di concorrenza e in caso di inosservanza sarà possibile chiedere il risarcimento dei danni e fare causa all’imprenditore cedente, con l’assistenza di un avvocato esperto in controversie societarie.

Quali sono i limiti della concorrenza

La presenza del divieto di concorrenza non può e non deve pregiudicare in tutto l’attività imprenditoriale del cedente, infatti quest’ultimo deve astenersi solo dal porre in essere attività simile a quella dell’azienda ceduta ma ciò non vuol dire che non potrà compiere altre attività economiche.

Proprio per questo è consigliabile disciplinare nel dettaglio la clausola da inserire nel contratto di cessione di azienda, sempre nei limiti dell’art 2557 c.c., magari anche con la consulenza legale di un avvocato, al fine di contemperare le esigenze di entrambe le parti.

Proprio per questo, l’avvocato potrebbe suggerire ai propri assistiti di inviare lettere circolari ai clienti, ai fornitori abituali per avvisare del trasferimento dell’azienda e quindi del passaggio di gestione, evitando così confusioni e fraintendimenti.

Naturalmente, sarebbe opportuno anche che il cedente informasse il cessionario, ossia l’acquirente, di tutti i dati dell’azienda, di eventuali accordi interni e particolari con fornitori al fine di agevolargli l’ingresso e rendere continuativa l’attività.

Quanto tempo dura il divieto di concorrenza?

La legge fissa la durata del divieto di concorrenza in massimo 5 anni.

La ragione è quella di tutelare da un lato le esigenze dell’acquirente, il quale non deve vedersi sviare la clientela, dall’altro le esigenze del cedente che non deve rimanere incatenato nelle proprie attività.

Le parti possono anche decidere di diminuire questa durata, ma non di aumentarla, infatti anche nel caso in cui le parti dovessero stabilire una durata maggiore il divieto non avrebbe validità.

Diversamente, se le parti non stabiliscono nulla, vale la prescrizione della legge.

Patto di non concorrenza nel contratto di lavoro

Ci si chiede se sia possibile inserire un patto di non concorrenza anche nel contratto di lavoro subordinato che un soggetto firma con il datore di lavoro.

Immaginiamo l’inserimento di una clausola con cui il lavoratore subordinato deve impegnarsi a non svolgere attività di tipo concorrenziale con i clienti con i quali è entrato in contatto durante il periodo di lavoro, per tutta la durata del rapporto di lavoro e per i 36 mesi successivi alla cessazione del rapporto lavorativo.

A tal proposito la risposta deriva dall’art 2125 c.c., il quale prevede che:

1. Il patto deve risultare da atto scritto;

2. Deve essere previsto un corrispettivo in favore del prestatore di lavoro;

3. Deve essere contenuto in determinati limiti di oggetto, tempo e luogo.

Anche in questo caso la durata massima del divieto di concorrenza è 5 anni, e una durata maggiore sarebbe inefficace.

Qualora il patto di concorrenza con il prestatore di lavoro non rispetti i requisiti sopra esposti, esso è nullo ed è possibile contestarlo mediante opposizione al datore di lavoro o impugnazione del contratto di lavoro.

In tal caso sarà necessaria l’assistenza di un avvocato specializzato in diritto del lavoro, in modo da individuare il prima possibile la strategia difensiva adatta e la presenza dei presupposti necessari per avviare una contestazione.

Avvocato per risarcimento dei danni

La violazione del divieto di concorrenza espone al risarcimento dei danni, ma occorre fare apposita richiesta in giudizio e quindi dare avvio ad una vera causa civile con l’assistenza dell’avvocato.

Il risarcimento dei danni si realizza in genere quando il cessionario non riesce a realizzare profitti a seguito del trasferimento dell’azienda in quanto la clientela gli è stata sviata.

Al fine di vedersi riconoscere il risarcimento economico, il giudice dovrà valutare l’esistenza di un nesso di causalità tra i danni arrecati e la mancata osservanza del divieto di concorrenza, in quanto deve trattarsi di un risarcimento in concreto.

Proprio per questo è fondamentale individuare fin da subito un buon avvocato in grado di selezionare le prove schiaccianti e far ottenere al proprio cliente il ristoro economico dovuto.

Quando c’è concorrenza sleale

Diverso dal divieto di concorrenza è la concorrenza sleale, ossia quella pratica con cui vengono diffuse notizie e apprezzamenti negativi sull’attività di qualcuno al fine di screditarla e sviarne la clientela, in modo tale da appropriarsi illegittimamente dello spazio di mercato relativo a quella determinata professione.

La concorrenza sleale ha rilevanza penale, in quanto occorre denunciare l’attività illecita per porre fine alla medesima. Tuttavia, è sufficiente che l’atto posto in essere sia potenzialmente in grado di produrre un danno sul mercato, non è invece necessario dimostrare l’effettiva produzione del danno.

Anche in tal caso però, la responsabilità va provata in concreto dal giudice, in quanto per configurarsi un comportamento scorretto dell’imprenditore occorre che questi abbia agito con malafede e mediante strumenti contrari ai principi di correttezza professionale. 

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